Proposta Radicale 8 2023
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Saggio

Il pensiero “radicale” di Tolstoi

di Guido Biancardi

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La mia religione

di Lev Tolstoj, 1883

(traduzione e cura di Guido Biancardi)

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Il pensiero “radicale” di Tolstoi

Il pensiero “radicale” di Tolstoi

di Guido Biancardi

È sorprendente, nei nostri tempi del ritorno a fanatismi fondamentalisti, l’estrema attualità di questo libello come strumento anche etico della necessaria esegesi dei lineamenti morali e politici di grandi personaggi storici per essere stati, anche, precursori ed annunziatori della nonviolenza. Esso contiene una selezione relativamente marginale, forse, vista la dimensione quasi sterminata delle sue opere, di scritti autobiografici di Lev Nikolaevich Tolstoj, che, ben distinti per data, dimensione e tecnica di elaborazione  sono sostanzialmente del tutto omogenei per il tema trattato,  rendere la testimonianza delle conquiste della propria “religiosità laica” (quasi il suo quantum di divinità condivisa) da parte di uno scrittore di notorietà universale già da vivente, e che in un testamento spirituale scriveva “Prego tutti i miei amici…che prestino attenzione a quella parte della mia opera in cui, lo so, parlava attraverso di me la forza di Dio. Spero che gli uomini…possano nutrirsi di essa”. 

Questi testi sono parte non trascurabile dei frutti procuratisi a mezzo di un’eroica verifica “delle fonti” (nella ricerca delle verità in esse contenute) del proprio credo. Posta a servizio dell’Umanità. Essi fanno parte del materiale, anch’esso immenso, delle sue opere non prettamente letterarie che in Russia furono oggetto di una spietata e spesso ben discriminata censura, mentre all’estero subirono anche elaborazioni arbitrarie ed, infine, dopo la morte dell’autore, non vennero, spesso, più ristampate, rifiutate recisamente dalla cultura contemporanea. 

È certo un evento eccezionale, ed un vero e proprio unicum nel nostro caso, che uno scrittore di genio, universalmente noto e celebrato, si trasformi improvvisamente, in uno stretto passaggio di radicale trasformazione della sua esistenza, in un leader politico/religioso, profeta e contemporaneamente agitatore, ma “non-resistente”. 

È quel che successe a Tolstoj (ma che tende irresistibilmente a ripetersi per figure a lui accostabili per l’influenza che siano considerati in grado di determinare anch’essi sugli eventi del mondo) e che provocò  reazioni anche insultanti di rifiuto e rigetto: “…un altro Tolstoj, uno sciagurato vecchio in stato di degenerazione mentale e morale”, ma anche di” ri-conoscenza” in altri, di ben diversa e superiore caratura morale, come Gandhi che lo riconobbe come il proprio ispiratore definendolo come “il più grande apostolo della nonviolenza che l’epoca attuale abbia dato”. 

Del suo contributo alla nonviolenza a mezzo della ricerca della verità “di sé ed in sé” (oltre che attraverso la rivelazione religiosa posta a primo cardine della propria fede) per il presente e soprattutto per un suo ancor possibile futuro, l’Umanità necessita ora come, credo, non mai.

Al pensiero radicale Tolstoj è particolarmente caro per essere stato apostolo dei fondamenti della rivelazione cristiana come di non resistenza al male (oltre che della nonviolenza, così tratteggiata nel testo), e per avere influenzato con le sue idee, quelle del Mahatma, codificatore della ahimsa/nonviolenza, non solo come teoria morale ma soprattutto come insieme di tecniche strumento di lotta politica.

Se non con l’unico intento di attribuirsi una primazia nella celebrazione della ricorrenza del centenario della sua  morte avvenuta il 7 novembre 1910 alla stazione di Astapovo, stazione di transito  ferroviario obbligato per la destinazione dell’Eremo di Optino cui sembra si fosse indirizzato l’ottantaduenne scrittore, prima di esservi stato bloccato dall’improvvisa grave febbre che l’avrebbe portato al decesso (da scomunicato della Chiesa Ortodossa; e forse “intercoffessionalmente” dato che al 1910 si fa risalire l’inizio dell’ecumenismo).  A  Roma, il 14 e 15 Dicembre 2009, si è svolto, presso il Pontificio Istituto Orientale,  un simposio: “Lev Tolstoj e la Chiesa del suo tempo” che ha visto la partecipazione di studiosi religiosi e laici russi e italiani: un palese tentativo di recupero in extremis, (attraverso un’iniziativa degna di veri e propri “Big Souls Riders”), di uno straordinario scrittore come di un credente e testimone della sua fede Ortodossa anche se (e proprio), nelle sue vesti di eretico impenitente censore della propria Chiesa: come tale oggetto di clamorosa ed esemplare scomunica mai rimessagli. Le circostanze della sua fine, (per la particolare meta perseguita nell’ultimo viaggio, il celebre monastero ortodosso la cui denominazione, Optino, fa riferimento sia al termine di “vuoto” in senso buddhista che, in quello, latino, di “scelta”), si prestano ad una operazione di attribuzione a Tolstoj di un  ravvedimento in extremis (uno studioso russo si è espresso esplicitamente in questi termini: “era pronto a dire un grande SI’ a quello contro cui era stato nemico negli ultimi trent’anni della sua vita, Logos contra ratio”). Non è del resto troppo sorprendente, né tanto meno da considerarsi esaurito, il tentativo di attribuire in articulo mortis a grandi “detrattori delle Religioni” come riflesso provvidenziale di pentimento, una volontà di ravvedimento per lo “scandalo” provocato.   

I Radicali si battono per il conseguimento di una più dignitosa condizione civile umana ed una forma istituzionale comune fra i popoli delle Nazioni Unite, quella dello Stato di Diritto verso cui far transitare contemporaneamente e congiuntamente, sia conclamate democrazie occidentali che regni arabi islamici, che oggi si confrontano in un apparentemente irriducibile e letale contrasto violento.  Per scongiurare tale “destino” essi si impegnano per il riconoscimento del nuovo diritto (civile) Umano alla conoscenza e non possono che riconoscere ai testi pubblicati qui di seguito, citati come “ignoti” in Francia ancora nel 1998, la funzione di una lama di luce nelle tenebre che si addensano ancora troppo fitte attorno a tutti noi, rendendo indistinguibile la verità. Questi testi sono dono di uno spirito non sfiduciato ma deluso dalla Scienza, da Tolstoj denunziata proprio per l’assunzione, come propria missione peculiare ed esclusiva, della ricerca di altri saperi in luogo di quella della verità.

Per conoscere un poco meglio uno dei creatori della nonviolenza ho dovuto costruire il mio mezzo, attraverso una traduzione che spero attendibile pur non essendo “professionale” (per le citazioni contenute in questa prefazione mi sono avvalso anche delle preziose note, di cui sono grato, del curatore del testo italiano dal titolo “Tolstoi verde”, A.I.I. M. Manca, Genova 1990).

Nota all’edizione: risalendo alla sola fonte disponibile, in carenza di altro tramite altrettanto affidabile e linguisticamente accessibile, ho tradotto dal francese il libro che proponeva come “Textes inconnus présentés et traduits par Luba Jurgensen” (Ed.Pygmalion, Gérard Watelet, Paris, 1998) i tre testi qui riportati: “Confession”, “Quelle est ma foi?”, “Pensées sur Dieu”. Proposti qui e presentati, in italiano, nella sequenza di: “Qual è la mia fede?”, “Confessione”, “Pensieri su Dio”.

La mia religione

La mia religione

di Lev Tolstoj, 1883

(traduzione e cura di Guido Biancardi)

Ecco che, cinquantacinque anni da che son venuto al mondo, e ad eccezione dei quattordici o quindici anni della mia infanzia, ho vissuto per più di trentacinque anni da nichilista, nel senso originale di questa parola che non vuol dire socialista, né rivoluzionario come abitualmente si crede; no, nichilista lo sono stato nel senso che ogni fede mi faceva difetto.

Cinque anni fa ho creduto all’insegnamento del Cristo e la mia vita è cambiata all’istante: ho cessato di desiderare ciò che avevo desiderato sino ad allora e mi sono messo a desiderare ciò che non mi aveva prima assolutamente attirato. Ciò che sino ad allora mi era sembrato buono mi è apparso come cattivo, e quel che mi era sembrato cattivo, buono. Ero come una persona che, uscita per fare un lavoro, si rende conto, cammin facendo, che non ne ha alcuna necessità e se ne torna a casa. Tutto ciò che era alla sua destra è ora alla sua sinistra e tutto ciò che era alla sua sinistra è ora alla sua destra; il suo primo desiderio, quello di allontanarsi da casa sua, ha lasciato il posto a quello di riavvicinarvisi. L’orientamento della mia vita, i miei desideri, sono cambiati: il bene ed il male hanno invertito le loro posizioni. Tutto ciò mi è capitato perché avevo compreso l’insegnamento del Cristo in un modo totalmente nuovo per me. Non ho la minima intenzione di commentare la dottrina del Cristo; desidero semplicemente raccontare come ciò che essa ha di semplice, di chiaro, d’accessibile, d’indubitabile, di universale, si è aperto a me e come questa presa di coscienza ha rivoltato la mia anima portandomi in dono serenità e felicità.

Tutte le Chiese cristiane han sempre riconosciuto che gli uomini, pur se ineguali per istruzione ed intelletto, stupidi o intelligenti, sono uguali di fronte a Dio, che la verità divina è aperta a tutti. Il Cristo ha persino detto che la volontà di Dio è di rivelare agli ignoranti ciò che è nascosto ai saggi.

Non tutti possono essere iniziati ai profondi misteri della dogmatica, di quella parte della retorica che tratta dell’eloquenza dalla cattedra chiamata omiletica, della patristica, della liturgistica, dell’ermeneutica, dell’apologetica, ecc., ma tutti possono e devono comprendere ciò che il Cristo ha detto a milioni di persone semplici, ignoranti che vivevano e vivono su questa terra. Ebbene, giustamente, ciò che il Cristo ha detto a tutti questi semplici in un’epoca nella quale essi non potevano chiedere chiarimenti a san Paolo, Clemente d’Alessandria, Crisostomo ed altri, questa cosa essenziale io non l’avevo capita sino ad allora, ma la comprendo adesso; e voglio dirla a tutti.

Il ladrone ha creduto al Cristo sulla croce, ed è stato salvato. Sarebbe stato un male, un pericolo per qualcuno se, invece di morire sulla croce, il ladrone ne fosse disceso per raccontare alla gente in che modo ha creduto nel Cristo?

Io stesso, come il ladrone in croce, ho creduto nell’insegnamento del Cristo e sono stato salvato. Non si tratta di un vago paragone, ma dell’espressione meglio adeguata dello stato precedente della mia anima, di disperazione e terrore di fronte alla vita e davanti alla morte, e della sensazione di calma e di felicità che mi pervade oggi.

Come il ladrone sapevo che la mia vita, così come quella della maggior parte della gente attorno a me, era cattiva, che lo era sempre stata. Come il ladrone sapevo che ero infelice, che soffrivo, e che le persone attorno a me erano infelici e soffrivano, ma non vedevo nessun altra uscita se non la morte. Come il ladrone alla sua croce, ero inchiodato a questa vita di sofferenza e di male da una potenza sconosciuta. Ed esattamente come il ladrone, ero destinato alle spaventose tenebre della morte che avrebbero fatto seguito ad una vita piena di sofferenze e di male assurdi.

In tutto questo, ero perfettamente simile al ladrone, con la differenza che il ladrone moriva mentre io ancora vivevo. Il ladrone poteva credere che lassù, dopo il sepolcro, ci sarebbe stata la salvezza, ma, quanto a me, io non potevo crederlo, poiché, oltre alla vita d’oltre tomba dovevo vivere la vita di quaggiù. Ora, io non capivo questa vita. Essa mi appariva terrificante, e quando all’improvviso ho sentito le parole del Cristo e le ho comprese, la vita e la morte hanno smesso di essere per me un male, e la mia disperazione ha lasciato posto alla gioia, alla felicità di una vita che la morte non poteva distruggere. È un male per qualcuno se io racconto quello che mi è successo?

Ho scritto due opere voluminose per spiegare perché sino ad allora non avessi compreso l’insegnamento del Cristo ed in che modo e perché abbia finito per comprenderlo: “La critica della teologia dogmatica” ed una nuova traduzione dei quattro vangeli unificati e commentati. In queste opere, ho cercato di analizzare metodicamente, punto per punto, tutto quello che nasconde la verità alle genti; per di più continuo a tradurre, a comparare ed a unificare i quattro vangeli, versetto dopo versetto.

Questo lavoro dura da più di cinque anni. Ogni anno, ogni mese trovo nuove spiegazioni e conferme della mia idea principale, correggo gli errori che nella fretta e nel mio entusiasmo avevo lasciato che scivolassero dentro il mio lavoro, poi completo quel che è stato fatto. Può accadere che la mia vita, che non sarà più così lunga, sia finita prima di questo lavoro. Ma sono persuaso che questo è necessario, ed è perciò che, sino a che sono in vita, faccio tutto quello che posso.

Tale è il mio lungo lavoro visibile sulla teologia, sui Vangeli. Ma il mio lavoro interiore, quello di cui vorrei parlare qui, è diverso. Non si tratta più di uno studio sistematico della teologia e dei testi del Vangelo; quel lavoro è consistito nell’eliminare in un colpo solo ciò che nascondeva il vero senso della dottrina, in modo che la luce della verità venisse ad illuminarmi nel medesimo istante. Ero come un uomo che, con uno schizzo sbagliato come traccia cercasse invano di dar forma a una quantità di piccoli frammenti di marmo mescolati fra loro e che indovinasse, improvvisamente, esaminando il più grosso fra quelli, che si trattava di tutta un’altra statua; si mettesse a ricomporla e vedesse confermata la sua idea al momento in cui ciascuno di quei frammenti sparsi all’apparenza, aderissero in tutte le loro curvature a quello degli altri frammenti per formare un solo tutt’uno. Mi è successa la stessa cosa. È questo che vorrei raccontare.

Vorrei raccontare come ho trovato la chiave per comprendere la dottrina del Cristo che mi ha rivelato la verità con una chiarezza ed un’evidenza che escludono ogni dubbio.

Ecco come ho fatto questa scoperta. Trascorsa la mia prima infanzia, dopo che ho cominciato a leggere i Vangeli da solo, sono stato toccato ed intenerito soprattutto dai passaggi in cui il Cristo predica l’amore, l’umiltà, il sacrificio, il dono di sé e la nonviolenza, ho sempre considerato che era là l’essenza del cristianesimo; il mio cuore vi si attaccato e, dopo essere passato per la disperazione e l’ateismo, è a nome di questo essenziale che ho fatto mio il senso che il popolo dei lavoratori cristiani dà alla vita e mi sono sottomesso alle credenze di questo popolo, ovvero, alla Chiesa ortodossa. Ora, una volta sottomesso alla Chiesa, mi sono presto accorto che non trovavo nel suo insegnamento la conferma, il chiarimento dei principi del cristianesimo che mi sembravano essenziali; ho notato che questa essenza del cristianesimo, per me preziosa, non occupava il posto principale nella dottrina della Chiesa, Ho notato che ciò che per me era l’essenziale non lo era dal punto di vista della Chiesa. All’inizio non vi avevo prestato attenzione più di tanto. “Ammettiamo, mi dicevo, che la Chiesa in più del senso che ad esso danno l’amore, l’umiltà, ed il dono di sé riconosca ugualmente un senso esteriore, i dogmi. Questo senso mi è estraneo, addirittura mi respinge, ma ciò non fa del male a nessuno”. Ora, nella misura in cui mi sottomettevo alla dottrina della Chiesa mi diveniva evidente che tale particolarità della sua dottrina non era quel semplice dettaglio che avevo pensato all’inizio. Se mi sono allontanato dalla Chiesa è a causa della stranezza dei suoi dogmi, è anche perché essa riconosce ed approva persecuzioni, esecuzioni, guerre e perché le differenti confessioni si negano reciprocamente; se ho ritirato la mia fiducia alla Chiesa, è a causa della sua indifferenza nei riguardi di ciò che mi sembrava essere l’essenza stessa della parola del Cristo ed inversamente, il suo attaccamento a tutto ciò che consideravo secondario. Sentivo che v’era, là, una stonatura, Solo che non arrivavo a trovare quale fosse. Poiché la Chiesa non negava ciò che mi sembrava essenziale nell’insegnamento del Cristo, al contrario, essa lo riconosceva, ma in modo tale che l’essenziale fosse risospinto in secondo piano. La Chiesa non mi ha dato ciò che mi aspettavo da lei. Ma il cristianesimo, quale l’immaginavo a quel tempo deve trovare tale saggezza nel cristianesimo.

Sono passato dal nichilismo alla fede comprendendo che una vita senza fede, senza conoscenza del bene e del male, una vita votata a degli istinti animaleschi era impossibile. Speravo di, non era altro che una certa disposizione di spirito molto vaga che non implicava una regola di vita chiara ed indispensabile. Così mi sono rivolto alla Chiesa per cercare questa regola. Ora, la regola che la Chiesa mi ha dato non mi ha per nulla avvicinato ad uno stato d’animo cristiano così come avevo ardentemente sperato; al contrario essa me ne ha allontanato. Non ho dunque potuto seguirla. Cercavo, tenevo ad avere una vita basata sulle verità del cristianesimo; ora, la Chiesa mi ha data una regola di vita completamente estranea a queste verità alle quali io tengo. Dell’insieme delle regole che la Chiesa dà concernenti la fede nei dogmi, il rispetto dei sacramenti, dei digiuni, delle preghiere, io non avevo bisogno; quindi non esisteva regola basata sulle verità del cristianesimo.

Peggio, le regole preconizzate dalla chiesa indebolivano, arrivavano persino al punto di distruggere quello stato dello spirito cristiano che, solo, dava un senso alla mia vita. Ero soprattutto turbato dal fatto che tutti i mali dell’umanità, la messa al bando di persone o di interi popoli, la condanna delle altre credenze e ciò che ne discende, le esecuzioni, le guerre, tutto ciò era approvato dalla Chiesa. 

A parole la Chiesa glorificava l’insegnamento del Cristo: l’umiltà, il rifiuto di giudicare, il perdono delle colpe, il dono di sé e l’amore, ma allo stesso tempo, essa approvava ciò che in realtà era incompatibile con questo insegnamento. Queste contraddizioni erano nella natura stessa del cristianesimo? Non potevo crederlo. Per di più ho sempre trovato stupefacente che, per quel che lo conosco, i passaggi del Vangelo sui quali si fondano certi dogmi della Chiesa sono sempre i più oscuri, mentre quelli da cui deriva la messa in pratica del cristianesimo sono i più concreti, i più chiari. All’inverso, i dogmi e gli obblighi legati ai dogmi sono definiti dalla Chiesa in un modo chiaro, preciso, ma la messa in pratica del cristianesimo lo è in termini vaghi, nebulosi, mistici. È questo che il Cristo ha voluto insegnando la sua dottrina? Non avrei potuto trovare la risposta ai miei dubbi che nei Vangeli. Così li ho letti e riletti. Avevo sempre accordato un’importanza particolare al sermone della montagna. L’ho quindi riletto più sovente rispetto a tutto il resto. In nessuna parte il Cristo è così diretto, in nessun’altra parte egli dà regole morali chiare, evidenti, che riecheggiano immediatamente nel cuore di ciascuno, in nessun’altra parte Egli si rivolge a tante persone semplici. Se esistono regole di vita cristiane chiare e precise, è qui dove esse sono espresse. È dunque, leggendo questi tre capitoli del Vangelo secondo san Matteo che ho cercato di risolvere i miei interrogativi. Ho letto davvero tante volte il sermone della montagna; ogni volta ho provato gioia ed intenerimento davanti a quelle righe che ci dicono di offrire l’altra guancia, di donare la nostra camicia, di riconciliarci con tutti, di amare i nostri nemici, ma provando anche un sentimento d’insoddisfazione. Le parole di Dio indirizzate a tutti non erano chiare. Esse proponevano una rinunzia impossibile, una rinunzia che distruggeva la vita stessa come io la comprendevo; mi sembrava dunque che questa rinunzia non potesse essere la condizione necessaria per la salvezza. Non mi sono accontentato di leggere il sermone della montagna, ho letto tutti i Vangeli e tutti i commenti teologici dei Vangeli. Per i teologi, le parole del sermone della montagna ci indicano la perfezione alla quale l’uomo deve aspirare senza poterla raggiungere con i propri mezzi essendo decaduto e prigioniero dei propri peccati; in tal modo la salvezza dell’uomo era nella fede, la preghiera e la grazia. Queste spiegazioni non potevano soddisfarmi.

Non potevo accettarle poiché mi ero sempre chiesto perché il Cristo, pur ben sapendo che non era nei poteri umani seguire il suo insegnamento, avesse dato delle regole così chiare e così belle riguardanti direttamente ogni uomo. Leggendo queste regole avevo sempre pensato che esse mi riguardavano direttamente, che era a me che si chiedeva di seguirle.

Quando leggevo quelle regole, una certezza gioiosa s’impadroniva di me: io potevo immediatamente, da quell’istante, fare ciò che mi veniva chiesto. Lo desideravo, tentavo di farlo; ma, dal momento che mi sottomettevo loro provavo difficoltà (mi rammentavo involontariamente la dottrina della Chiesa) nel sapere che l’uomo era debole e che non poteva arrivarvi; e diventavo debole. Mi si diceva che bisognava credere e pregare. Ma sentivo di non avere molta fede, non potevo, dunque, pregare. Mi si diceva che dovevo pregare che Dio mi desse la fede, e che questa fede mi avrebbe dato la preghiera che dà la fede, la quale fede dà la preghiera; e così di seguito, all’infinito. Ora, ragione ed esperienza mi mostravano che per seguire l’insegnamento del Cristo non potevo contare che sui miei sforzi.

Ed ecco che dopo numerose ricerche e studi, rivelatisi vani, di tutto ciò che è stato scritto per provare che tale dottrina fosse divina, o che non lo fosse, dopo tanti dubbi e sofferenze sono di nuovo rimasto solo in compagnia del mio proprio cuore e del misterioso libro davanti a me. Non potevo attribuirgli il senso che altri gli davano, né dargliene un altro; non potevo nemmeno rinunziarvi. Ma, quando mi sono staccato da tutti i commentari dei critici e dei teologi sapienti, quando li ho rigettati uno dopo l’altro secondo le parole del Cristo” se non mi accetterete come dei fanciulli non entrerete nel regno di Dio”, ho compreso d’improvviso qualcosa che non avevo compreso prima. Non è grazie a delle comparazioni, dei riferimenti, dei commentari sapienti e complicati che ho capito; al contrario tutto mi si è rivelato perché ho dimenticato quei commentari.

(fine prima parte)

iMagz